sabato 5 maggio 2007

Star Bene e Star Male: finzioni e realtà del rapportarsi con l'esterno



Oggi sono decisamente giù di morale. Un po’ è il tempo, uggioso, freddo, per niente primaverile... Ma la verità è che al di fuori di tutto, sotto sotto, non sono felice. Una persona chiunque potrebbe chiedermi: “cosa ti manca?”. In effetti, materialmente nulla. Vivo con i miei genitori in una bella casa, mangio bene, vesto bene (anche se non posso permettermi vestiti griffati), ho sempre una macchina o lo scooter a disposizione... Anche se non lavoro, i miei genitori mi passano ognitanto qualcosa.
Eppure qualcosa mi manca... Mi dico: “Ok, ho capito di essere gay e questo è un bel problema perchè al giorno d’oggi, non potendo vivere liberamente la mia condizione (almeno qui in Italia), mi sento, per ora, costretto a nascondermi. Per ogni persona che incontro c’è una menzogna che racconto ai miei genitori, ai miei amici (tranne Matteo che è l’unico a sapere di me: siamo tutti e due gay e siamo migliori amici).”
E’ questo peso, la menzogna, una cosa che in genere non mi appartiene. Solitamente sono un libro aperto, non so mentire e questo mi fa paura perchè prima o poi la verità viene a galla e allora? Come reagiranno gli altri? La mia paura più grande è quella di rimanere solo...
L’uomo è l’animale sociale per eccellenza. A qualsiasi uomo, che lo dia a vedere oppure no, la solitudine pesa. E ad uno come me, che costruisce (ecco uno dei miei grandi errori) la propria vita in funzione degli amici, dell’amicizia, il rimanere solo pesa anche nelle piccole cose. Torno a casa, sono solo, non mangio... non provo neanche lo stimolo della fame.
Se prima ho avuto un sacco di problemi per via dei miei complessi sulla mia condizione di omosessuale e la paura di essere scoperti che mi attanaglia ancora, oggi posso dire di avere accettato la mia condizione. Con serenità pare... Ma questo è quello che do a vedere a chi mi conosce (Matteo e coloro con cui sono stato a letto). Come tutti, si indossa una maschera. Io indosso quella della serenità. La tempesta è dentro e difficilmente la lascio esplodere perchè mi rendo conto che agli altri non interessa: sono già presi dai loro problemi che non è giusto che si facciano carico dei miei. Come d’altronde non è neanche giusto che io li esterni per delegare agli altri la soluzione di questi che spetterebbe a me. Altrimenti che crescita ne otterrei?
Ok. Mi si dice che quando si parla, in generale, di cose futili, sono abbastanza logorroico. Quando mi si chiede che cosa voglio fare nella mia vita divento muto. Ho 23 anni e sarebbe ora di fissarsi un obbiettivo da raggiungere. Invece in questo ultimo anno ho interrotto gli studi, buttandomi su altre cose che in realtà non mi piacciono. Ascolto troppo il parere degli altri. L’ho sempre fatto (ecco un’altro mio difetto). Quando mi dissero di andare a fare un istituto tecnico, io seguii il consiglio di un amico di famiglia ad iscrivermi al liceo scientifico. E furono non 5 bensì sei (perchè fui bocciato in prima) anni d’inferno. Ce la feci, devo dire. Sono abbastanza versatile. Poi fu il momento di scegliere l’università. Di matematica non capisco una mazza e con il mio corso di studi giusto Giurisprudenza potevo scegliere.
“Ti sai vendere” mi viene continuamente detto in famiglia “ma a volte sei solo un bluf”. E questo fa male, fa male davvero!!! Loro non sanno la confusione che ho in testa, sono troppo buono per ribellarmi subito e l’unica cosa che mi rimane è fallire apposta. Tanto non funziona neanche così... salta sempre fuori la verità.
Ok, allora facciamo così. Io non dico più nulla. E’ già un po’ che ho adottato questa politica. Il pezzo di carta bollata con l’intestazione dell’università è una cosa che serve oggigiorno. Bene per me se finisco gli studi, ma a modo mio. E’ per questo che ho deciso finalmente di cambiare corso. Nel frattempo mi rassegnerò (siamo abituati) allo studio, una vita fatta di meno uscite con gli amici. Posso sempre vedere qualcuno il fine settimana.
Credo che sia la cosa giusta da fare. La vita è fatta di sacrifici ed è ora di farne qualcuno. Non appena riapriranno le iscrizioni all’università, mi riiscriverò. Cambierò facoltà, finirò il corso di studi e cercherò un lavoro al di fuori della famiglia.
Lavorare col proprio padre io lo trovo frustrante. Un padre che delega. Anche la singola telefonata che non mi riguarda, chissà come, richiede che sia io a digitare il numero e passargli la cornetta. Un padre che mi attacca perchè non faccio abbastanza, ma che, quando c’è da lavorare, si mette davanti al computer a giocare al solitario. Dirgli queste cose no? No. Si offende e diventa cattivo. Trovarsi un padre, quando non sei ancora indipendente, che può darti contro su tutto e metterti i bastoni tra le ruote in ogni tua iniziativa è pericoloso. Meglio cercare di aggirarlo, costruirsi piano piano una vita parallela ma solida e poi, una volta sicuro, cambiare binario.
La volontà c’è. Devo solo pensare un po’ più a me stesso, concentrarmi, perdere interesse per tutte le distrazioni che mi si presentano. Caffè, tanto caffè, energia, cibo... no, dai, non troppo. Palestra. La mia sempre fedele valvola di sfogo.

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